Et qu'est ce qu' est le respect? ce n'est pas clair,
utilisé par les gouvernements, il est utilisé par les États....
Une extrémité ouverte en cours de manipulation,
et qui met le système sur le côté,
Et quand j'étais petite, comme tout le monde je suis allée dehors
comme tous à l'extérieur, on a couru dans la fumée dans un des bâtiments solides, on a cherché une bouché de soleil, la lune la nuit, un horizon caché.....
Je voulais un repaire, mais je me suis rendue aux évidences ....
elles étaient plusieurs puis toujours les mêmes..... 
Vous aurez à payer l'hypothèque, qu'ils nous disaient....
Et après avoir vu si clair que le soleil à midi 
leur système barbare d'argent et de pouvoir,
Mon désir le plus profond fut de voir tout brûler.....
Je me suis faite des amis avec la flamme du chaos et de la destruction, pour lutter contre les forces de l'Etat et de son oppression, de son indécence.
Et toutes ces intolérances  m'ont inculqué le respect, le respect de ceux qui tendent la main, de ceux qui n'ont rien et qui restent dignes, de ceux qui n'ont rien à se reprocher sauf cette culpabilité éternelle qui fit de nous des coupables....coupables de quoi, on sait pas.....coupables d'avoir essayé, coupables de pas avoir su trouver la bonne façon de faire, de dire.....
J'ai encore de l'espoir parce que on ne meurt jamais à la place de quelqu'un d'autre, donc c'est que je suis encore en vie dans l'attente d'avoir la chance de  mourir à ma place......
Je viens te chercher
juste pour te parler ou te voir
parce que j'ai besoin de ta présence
pour mieux comprendre mon essence .
Ce sentiment populaire
découle de mécaniques divines
un rapt sensuel et mystique.
Dois-je changer l'objet de mes désirs
non contente des plaisirs quotidiens,
faire comme un ermite
qui s'oublie .
Je viens te chercher
avec l'excuse d'avoir à parler
parce que j'aime ce que tu dis et ce que tu penses
car en toi je vois mes racines .
Ce siècle 
saturé de parasites sans dignité me pousse à être meilleure
Il faudrait que je me libère du cauchemar des passions
essayer de trouver le UN au-dessus du bien et du mal
une image divine
comme si c'était une réalité ......


IL METODO DEL CONSENSO
Per chiarire ulteriormente il concetto vorrei qui riprendere le parole di Castoriadis che in un’intervista rispondendo alla domanda Cosa vuol dire autonomia? così si esprime:

AUTOS-NOMOS: dare leggi a sé stessi.
Autonomia non significa fare qualsiasi cosa; non è il regno del desiderio, questa è un’aberrazione. Non è la spontaneità? Non è la spontaneità bruta e cieca. Nomos: una legge che mi do riflettendo, e dopo aver discusso. Questo progetto di autonomia vuol dire non solo che si vuole eliminare la monopolizzazione del potere di alcuni nel dominio politico, ma che vuole anche eliminare l’autorità che si neghi di render conto di sé stessa a livello di pensiero. Perciò, alle origini del progetto dell’autonomia c’è, a sua volta, la nascita della filosofia e della democrazia o della politica vera. Politica, parola che oggigiorno è, sempre più, sinonimo degli intrighi, di chiacchiere ecc. è in realtà l’azione umana che, in maniera lucida, esplicita, cosciente, riflessiva, si occupa di trasformare le istituzioni e l’istituzione della società per rendere più autonoma la società stessa e gli individui.
Che cos’è una società autonoma?
È una società che è capace primo, di sapere che le sue leggi sono creazioni proprie e non ordini divini o conseguenza di leggi naturali o delle leggi naturali del mercato, come diciamo assurdamente oggi. E che può, giacché è lei che ha creato queste leggi, modificarle se crede che questo sia utile o necessario.

Il metodo del consenso dunque è come un sentiero in cui (parafrasando gli zapatisti) ci si pone delle domande. Un mezzo capace (ed è questa la ragione del nostro interesse) di contenere i fini a cui si vuole giungere. (DADA - voce libertaria no 22)

TESTO DI ROBERTO TECCHIO - autistici.org


Il MC è un procedimento che si svolge in varie fasi e in cui si usano diverse tecniche di discussione, analisi e confronto, mediante il quale un gruppo arriva a prendere le sue decisioni senza ricorrere alle votazioni. Consenso indica che si è d’accordo su qualcosa, ma non significa necessariamente accordo pieno di tutti su tutto, cioè unanimità. L’unanimità non ne è l’obiettivo: il consenso punta a far convivere le differenze, non ad eliminarle. Perciò in una decisione consensuale con diversi gradi di accordo e sfumature espresse in modo esplicito e globalmente accettato. L’adozione del MC da parte di un gruppo può avvenire solo su base consensuale il che non esclude il ricorso ad altri metodi decisionali, purché tale ricorso avvenga in base a una decisione consensuale.

Il fine non giustifica i mezzi; i mezzi contengono il fine. Il MC nasce dalla convinzione che il rapporto tra mezzi e fini deve essere coerente. Per esempio se si hanno fini equi e solidali, i modi per realizzare tali fini dovranno esprimere qui e ora, concretamente, equità e solidarietà. In pratica ciò si esprime nel modo di gestire il potere e in particolare nel modo in cui si prendono le decisioni.

L’uso del potere: il singolo non viene schiacciato dal gruppo, il gruppo non viene bloccato dal singolo. Il MC, a uno sguardo superficiale, sembra dare un potere eccessivo al singolo individuo (o alla piccola minoranza) rispetto al gruppo. Così sembra che chiunque, magari dopo una lunga discussione, se gli gira male può bloccare un grande gruppo negando il suo consenso alla decisione. Ma questo non è altro che esercitare il cosiddetto potere di veto, che non ha niente a che vedere col MC. Il MC riconosce il valore, la dignità, l’unicità del singolo che può bloccare il gruppo solo se riesce a mostrare la validità della sua opposizione. Se il gruppo riconosce la validità dell’opposizione allora la decisione può essere bloccata, altrimenti alla parte avversa viene rimandata la responsabilità di decidere cosa fare. Affinché il MC funzioni bene, il singolo deve riconoscere e accettare il potere del gruppo nel determinare quali problemi possono essere risolti, quali necessitano di più attenzione.

Attenti al compito e ai rapporti umani. Gli incontri servono per affrontare e risolvere problemi comuni. Le buone soluzioni tengono conto sia degli aspetti concreti dei problemi, sia delle relazioni tra i soggetti altrimenti anche semplici problemi possono complicarsi e diventare un grave peso. È necessario ricordare che nel lavoro di gruppo entrambi gli obiettivi (di contenuto e di relazione) devono essere sempre opportunamente curati: l’uno influisce sull’altro.

Distinguere le persone dai problemi e concentrarsi sui problemi. Ognuno ha un io che è sensibile e che facilmente può sentirsi minacciato, e un io minacciato pensa soprattutto a difendersi. Ogni giudizio sulla persona rischia di danneggiare la relazione e di alterare il buon clima psicologico che è indispensabile per fruire delle risorse di creatività e intelligenza di tutti i partecipanti, risorse senza le quali non è possibile trovare buone soluzioni ai problemi. Perciò è fondamentale attaccare le idee e le proposte anche molto fermamente se necessario, ma rimanere al contempo interiormente rispettosi verso le persone. Aiuta non identificarsi con le proprie idee, ricordandosi che le mie idee, non sono mie!

Distinguere i bisogni dalle soluzioni e... concentrarsi sui fondamenti. Spesso si discute (e si litiga) sulle proposte di soluzione senza avere adeguatamente scandagliato quali sono i bisogni in gioco: le soluzioni rappresentano la risposta a dei bisogni e lo stesso bisogno può essere soddisfatto in tanti modi diversi, cioè ci possono essere tante soluzioni per uno stesso problema. Se ci si fissa su certe idee diventa impossibile negoziare costruttivamente. Si tratta di orientarsi alla ricerca dei bisogni condivisi e creare le condizioni per trovare soluzioni cooperative, realizzabili, che aprono verso il comune cammino.

Inventare soluzioni: generare opzioni e definire obiettivi fattibili e soluzioni vantaggiose per tutti. Qui la fantasia, l’intelligenza, l’esperienza sono le risorse primarie: spesso si tratta letteralmente di inventare nuove soluzioni. Questo passaggio può sembrare banale, ma dal punto di vista pratico la fase dell’ideazione è spesso trascurata o comunque mal gestita (per es. è frequente che il brainstorm sia pieno di giudizi e commenti sulle idee espresse!). Non identificarsi (né identificare l’altro) con le idee facilita moltissimo la ricerca di soluzioni diverse e forse migliori. Rimanere attaccati alle proposte di soluzione ostacola il raggiungimento di soluzioni di buona qualità anche diverse da quanto da noi proposto.

Operare scelte sulla base di criteri riconosciuti e trasparenti. I criteri che sottendono ogni scelta devono essere esplicitati e riferiti quanto più possibile a elementi verificabili, o a principi comunemente accettati. In questo frangente in genere si esercita più o meno consapevolmente un uso scorretto e manipolatorio del potere per orientare le scelte verso interessi di parte.

Saper stare costruttivamente nel disagio (frustrazione, irritazione, preoccupazione...). Nel MC il conflitto è visto come fenomeno assolutamente naturale, né giusto né sbagliato. Quindi facilitare una buona comunicazione è un fattore chiave: comunicareè gestire la relazione e i conflitti. Tuttavia anche mediante un uso perfetto del metodo e un’ottima comunicazione i problemi, che non di rado sono complessi e complicati, possono rimanere sul momento irrisolti. E allora? Se si procede con cura e si alimenta la fiducia, il paesaggio entro cui si prenderanno le decisioni (perché comunque e sempre si decide qualcosa) sarà come minimo più chiaro e comprensibile. A volte per es. bisogna accettare il fatto di non poter decidere su una determinata questione. Allora saper gestire costruttivamente il disagio personale e collettivo che deriva da tutto ciò è indispensabile nel processo consensuale: pazienza e fiducia sono le qualità fondamentali.

Un metodo morbido per persone/gruppi forti. In definitiva questo processo tende a costruire accordi nel disaccordo, dove cioè il disaccordo particolare è dentro una cornice di accordo generale fondato su rispetto e fiducia reciproci. Il consenso di fondo deve però essere basato sulla fiducia e sulla libertà, altrimenti non funziona, anzi nemmeno si potrebbe chiamare consenso. Il MC richiede maturità e forza interiore dei soggetti che lo usano, e che usandolo si rafforzano.
PASSAGGI CHIAVE DELLA PROCEDURA


Richiesta e Verifica del consenso. Qualunque sia la procedura attuata, arriverà il momento in cui qualcuno (in genere il facilitatore) chiederà al gruppo La formulazione della decisione è soddisfacente? Ci sono ancora dei problemi? In mancanza di una chiara formulazione della decisione i rischi di confusione con successive complicanze sono alti. Inoltre non si chiede C’è il consenso?, oppure: Siete tutti d’accordo?: che non incoraggia l’espressione di dubbi o perplessità. La domanda: Ci sono ancora dei problemi? offre invece la possibilità di esprimersi. Se nessun ulteriore problema viene sollevato, il facilitatore dichiara il consenso raggiunto e la decisione viene messa agli atti. Problemi, blocchi decisionali e veto. Durante il procedimento ci si trova di fronte diversi tipi di problemi che può essere utile inquadrare allo scopo di riconoscerli e gestirli adeguatamente. Ci possono essere per esempio osservazioni finalizzate a migliorare una proposta. Altre volte ci possono essere dubbi o riserve. Questo si può affrontare con una discussione più approfondita. Infine possiamo trovarci di fronte a un disaccordo verso la proposta: una persona o una minoranza è contraria alla proposta (tutta o in parte). In questo caso bisogna consentire alla parte avversa di provare la validità o legittimità del disaccordo. Quando il disaccordo è tale da portare a un blocco della decisione, tale blocco deve essere riconosciuto dal gruppo nel suo insieme. Altrimenti la parte avversa non può bloccare la decisione del gruppo (potere di veto), a meno che il gruppo non abbia altre ragioni per farsi bloccare.

Di fronte a situazioni di disaccordo si aprono quindi due possibilità:


il gruppo alla fine riconosce la validità del problema sollevato, per cui si blocca la decisione;


il gruppo alla fine non è convinto (né a sua volta riesce a convincere la parte avversa) per cui il gruppo può procedere nella decisione che intendeva prendere inizialmente.

La parte avversa decide quindi cosa fare, per esempio può stare da parte.

Come si esce da una situazione di blocco decisionale?

Gli esperti ci ricordano, provocatoriamente ma saggiamente, che di fronte a un problema che al momento appare senza soluzione esistono almeno altre sette possibilità che non sono state esplorate dal gruppo. Ci vogliono dunque fantasia, creatività, intelligenza, ma non solo, anche la capacità di stare nel disagio, nella stanchezza, nella frustrazione, evitando i climi con forte risentimento poiché la paura è il vero grande blocco.

E per finire… uno strumento per sperimentare il MC.

Precisare le regole della discussione permette anche in gruppi di lavoro estemporanei di creare un clima di maggiore fiducia e chiarezza. In pratica il punto A andrebbe letto erapidamente approvato all’inizio della riunione (se ci sono intoppi, è meglio lasciar perdere il MC: mancano le basi!). I punti B e C, che hanno valore di orientamento non di vere e proprie regole, possono essere semplicemente letti e non abbisognano di un’approvazione formale, è utile verificare la tendenza dei partecipanti riguardo tali orientamenti, perché nella misura in cui sono condivisi possono essere richiamati e usati durante la riunione.
A) Dichiarazione dei diritti di ogni partecipante.



Io ho il diritto di essere trattato con rispetto. Così gli altri.


Io ho il diritto di avere ed esprimere opinioni e sentimenti. Così gli altri.


Io ho il diritto di essere ascoltato e preso seriamente. Così gli altri.


Io ho il diritto di dire no senza sentirmi in colpa. Così gli altri.


Io ho il diritto di chiedere ciò di cui ho bisogno. Così gli altri.


Io ho il diritto di cambiare opinione. Così gli altri.
B) Orientamenti per una comunicazione costruttiva



Usare messaggi io di confronto costruttivo.


Ascoltare attivamente, e verificare se abbiamo capito veramente quello che gli altri volevano dire, e viceversa.


Fare attenzione non solo ai contenuti, ma anche ai sentimenti espressi.


Distinguere le persone dai problemi e dalle loro azioni: evitare di attribuire intenzioni agli altri e di giudicarli, attenersi ai fatti e ai comportamenti.


Essere precisi ed evitare le generalizzazioni.
C) Orientamenti per cooperare nel conflitto



Passare dalla visione me contro te, al Noi.


Passare dalle prese di posizione agli Interessi e Bisogni in gioco.


Concentrarsi invece che sul Passato, sul Presente e sul Futuro.


Passare dall’Impossibile al Possibile.


Passare dalla Colpevolizzazione all’assunzione di Responsabilità.




 On apprendra à marcher ensemble
les nouvelles distances nous rapprocherons .....
comme des voix qui se multiplient.....
comme ce qu'on ne sera jamais
un soldat et une épouse......
puis je respirerai......



Dio è anarchico
L’Anarchia è perfezione. Come tale è irraggiungibile, irrealizzabile, inapplicabile.
Partiamo da un semplice concetto: lo Stato (che sia re, presidente, dittatore, parlamento, magistratura; che sia uno, che sia cento) non potrà mai soddisfare a pieno le esigenze dei suoi cittadini, non potrà mai agire nella piena giustizia del diritto naturale, non potrà mai evitare di abusare del potere che gli è concesso dalla collettività, persino involontariamente. Lo Stato perciò non è mai corretto, può altresì risultare meno scorretto. Quindi lo Stato non è una fortuna da esaltare bensì un bisogno da sopportare, ed è con questo spirito che andrebbe costruttivamente criticato. Paradosso. Nei ministeri, nelle aule di tribunale, nelle stazioni di polizia, andrebbe affisso sul marmo un’iscrizione del genere “Preghiamo i cittadini italiani di sopportare la nostra tanto fastidiosa quanto insostituibile presenza”.
Parentesi. In una società ideale il politico è servo di tutti, il magistrato è difensore del debole, il poliziotto è promotore di non-violenza. E’ vero che questa società è irraggiungibile proprio in quanto ideale ma alcuni paesi nord-europei si avvicinano (ben più del nostro) a questi utopistici obiettivi.
E’ possibile fare a meno dello Stato? La storia ci insegna che un vuoto di potere produce più sangue e distruzione del regime precedente, la natura dell’uomo maturo è infatti tendenzialmente rapace ed egoistica. Un esempio recente: la Jugoslavia post-Tito. La risposta è quindi no, lo Stato è un bisogno vitale ed insostituibile. Anche se spesso e volentieri partorisce abusi di potere, limita irrimediabilmente la libertà individuale e rischia di provocare guerre che io definisco astratte, nel secolo scorso decine di milioni di anime andarono al macello nel nome di un sentimento nobile come l’amor di Patria. Sentimento che lo Stato (proprio lui!) riuscì a tramutare in un becero nazionalismo spesso sfruttando l’onda d’urto ideologica (marxismo, fascismo, nazionalsocialismo, imperialismo, liberismo, francesismo).
E’ proprio a cavallo tra i due conflitti mondiali che prende corpo il movimento anarchico (ma il seme germogliava da oltre un secolo) che avrà la sua più significativa espressione nel sindacato anarchico spagnolo che conterà un enorme numero di adepti per essere poi soppreso dalla dittatura di Franco che seguì la guerra civile. In contrapposizione con un’esasperazione dello Stato così innaturale non poteva non crescere un naturale istinto libertario. Un istinto anarchico.
L’Anarchia è applicabile? A livello teorico prevede la totale libertà dell’individuo, la fraternità universale, la pace assoluta. L’abolizione delle istituzioni, della magistratura, della polizia, dell’esercito, della Chiesa e della proprietà privata. Chi fa si che tutto ciò sia abolito? Il cittadino stesso. E si ritorna al discorso già intrapreso per lo Stato: può il cittadino agire nella piena giustizia del diritto naturale ed evitare di abusare del suo (ora incontrollabile) potere? La risposta è no, quindi l’Anarchia è inapplicabile.
Ma non per questo l’Anarchia deve essere bollata come una follia e l’anarchico come un insano di mente, un deficiente o un criminale. E’ un utopia si, ma non un’utopia errata in se stessa, cosa che al contrario fu il marxismo (oppressivo e illiberale ancor prima che utopistico). L’Anarchia è perfetta.E’ l’uomo l’essere imperfetto, lui è l’indegno di un dono perfetto, perché incapace di riceverlo ed applicarlo, oggi e per sempre.
L’uomo è imperfetto in quanto uomo, se fosse perfetto sarebbe un Dio. Ecco quindi che l’Anarchia è realizzabile solo se l’uomo è Dio. Dirò di più: Dio stesso è anarchico in quanto indipendente da qualunque potere. La ricerca di un’Anarchia (che non è ne caos, ne violenza, ne disordine) è quindi una ricerca di perfezione, paradossalmente una ricerca di Dio.
Riassunto del mio pensiero. L’Anarchia è perfetta; lo Stato tende a sbagliare ma è insostituibile e necessario; l’uomo è imperfetto e perciò l’Anarchia inapplicabile.
Ma per quanto mi riguarda non posso che amarla come utopia e credo che se presa come cometa non possa che condurre al bene, o al male minore. Se ogni politico, magistrato o poliziotto si ricordasse che quella è la vera giustizia, mentre lui altro non è che una necessità il mondo sarebbe migliore, o meno peggiore.

Gli uomini che fuggono
dalle loro terre
martoriate da fame e guerre
per approdare come cadaveri
in queste terre
di mafie, camorre e fuochi
sono un chiaro segno
dell’apocalissi
in cui sopravvivo e vissi

El derecho de rebelión es sagrado porque su ejercicio es indispensable para romper los obstáculos que se oponen al derecho de vivir. Rebeldía, grita la mariposa, al romper el capullo que la aprisiona; rebeldía, grita la yema al desgarrar la recia corteza que cierra el paso; rebeldía, grita el grano en el surco al agrietar la tierra para recibir los rayos del sol; rebeldía, grita el tierno ser humano al desgarrar las entrañas maternas; rebeldía, grita el pueblo cuando se pone de pie para aplastar a tiranos y explotadores.

J'ai un peu d'anarchie entre les doigts,
Je la laisse glisser lentement
et se perdre dans le monde,
espérant 
le rendre moins vide
espérant en faire
quelque chose de moins misérable.
Ce "peu"
Je le laisse glisser lentement
et se perdre entre mes lèvres,
dans l'espoir de pas oublier
la capacité de rêver.
dans l'espoir qu'il donne 
l'envie de rire.
En attendant, je le tiens,
abrité dans mes mains.
C'est la seule chose qui me reste pour 
pas cesser d'être......


La conquista de la inocencia
Resulta que soy un niño,
que todo
ha ido haciéndome un niño,
que el sufrimiento y la alegría me han hecho un niño,
que como un niño
todo lo he ido transformando en sueños,
jugando con mis sueños y con mis versos,
resistiendo con ellos,
que contemplar todos los mundos me ha hecho un niño,
que yo iba como todos para ser un hombre
y las fronteras me han hecho un niño,
los fingimientos y los límites:
todo me ha hecho un niño;
que la locura me ha hecho un niño,
verla, palparla,
a través de todos los disfraces y de todas las máscaras,
que el asalto de la razón a todo lo que vive
me ha hecho un niño,
que sorprenderme por todo me ha hecho un niño,
desear un vivir que sobre todo fuera una aventura,
que me ha hecho un niño
el engaño de cuantos han crecido,
que les hacían hombres
las trampas de los dominantes,
que dejas de ser niño cuando te conviertes en dominante,
que el dominio de las abstracciones me ha hecho un niño,
plaga de abstracciones,
que el someter las vidas a las ideas me ha hecho un niño,
que al parecer eso es ser hombre,
que he preferido ser un niño
para salvar todo lo creativo,
que mi mundo
no es de este reino perdido,
para dar a los sentidos lo que es de los sentidos,
al instinto lo que es del instinto,
que los sueños me han hecho un niño,
que no podía vivir si no era un niño,
que me ahogaban las órdenes y las leyes.
Resulta que muchos de los que se hicieron hombres
y no buscaron la inocencia,
al final de sus vidas
recuerdan con nostalgia lo que tuvieron de niño,
porque a ser hombre llaman
vivir en un mundo de dominantes
y sometidos,
que la soledad me ha hecho un niño,
que el darlo todo y el haberlo perdido
me ha hecho un niño,
que he sido un poeta maldito porque soy un niño,
que me ha hecho un niño
ver que lo único importante
es buscar la inocencia entre la astucia,
que cuando he amado
me he convertido en un niño,
que comprender que hay víctimas pero no culpables
me ha hecho un niño,
que por ser un niño
mantengo la ilusión a pesar de los desencantos
y de la sangre derramada
entre las trampas y los mitos,
que ver cómo caemos todos en las innumerables trampas
me ha hecho un niño,
y que de no ser un niño
nunca hubiera nacido en mí la rebeldía,
que es preciso
comenzar a rebelarse a uno mismo,
no seguir la consigna de ser un hombre,
que soy poeta porque conquisto la inocencia
cada vez que abro los ojos y contemplo las cosas,
que a ser niño
es lo único que he aprendido
y porque observo que todos los seres
con el mismo destino:
nacer para la muerte,
no dejan de ser niños;
que un pájaro siempre es un niño,
que un árbol siempre es un niño,
que un perro siempre es un niño.
Y porque pienso qué es un hombre
si deja de ser niño,
que se equivocan las escuelas
que intentan hacernos hombres
prometiéndonos falsos paraísos,
que la anarquía sólo será posible
cuando todos fuéramos niños,
cuando todos partamos
a la conquista de la inocencia,
que escribo este poema
porque resulta que soy un niño…

(à & pour T.)

"On ne vit pas dans un espace neutre et blanc ; on ne vit pas, on ne 
meurt pas, on n'aime pas dans le rectangle d'une feuille de papier. On vit, on meurt, on aime dans 
un espace quadrillé, découpé, bariolé, avec des zones claires et sombres, des différences de 
niveaux, des marches d'escalier, des creux, des bosses, des régions dures et d'autres friables, 
pénétrables, poreuses. Il y a les régions de passage, les rues, les trains, les métros ; il y a les régions 
ouvertes de la halte transitoire, les cafés, les cinémas, les plages, les hôtels, et puis il y a les régions 
fermées du repos et du chez-soi. Or, parmi tous ces lieux qui se distinguent les uns des autres, il y 
en a qui sont absolument différents : des lieux qui s'opposent à tous les autres, qui sont destinés en 
quelque sorte à les effacer, à les neutraliser ou à les purifier. Ce sont en quelque sorte des 
contre-espaces. Ces contre-espaces, ces utopies localisées, les enfants les connaissent 
parfaitement. Bien sûr, c'est le fond du jardin, bien sûr, c'est le grenier, ou mieux encore la tente 
d'Indiens dressée au milieu du grenier, ou encore, c'est - le jeudi après-midi - le grand lit des 
parents. C'est sur ce grand lit qu'on découvre l'océan, puisqu'on peut y nager entre les couvertures ;
et puis ce grand lit, c'est aussi le ciel, puisqu'on peut bondir sur les ressorts ; c'est la forêt, puisqu'on 
s'y cache ; c'est la nuit, puisqu'on y devient fantôme entre les draps ; c'est le plaisir, enfin, puisque, 
à la rentrée des parents, on va être puni."
M. Foucault

Nous, les survivants,
A qui devons-nous notre survie?
Qui est mort pour moi dans les quartiers des esclaves,
qui a reçu la balle,
qui l'a reçue  à ma place ou à cause de moi?

Sur le cadavre de quoi suis-je un mort-vivant,
ses os en cours d'exécution sur les miens,
sur quels yeux que je me suis déchirée à regarder
à travers son regard de mourant qui n'a pas vu venir sa mort sur mon visage?

La main que j'ai tenue, qui n'est plus sa main,
qui n'est plus la mienne non plus,

......paroles .......entrecoupées d'écriture

où sommes nous, sinon dans la survie?

à  C.

réflexion personnelle: si "à parler (éduquer)", tous confondus, "aux premières loges", sont toujours, ou presque, les mêmes, cela signifie que la ligne de chemin est droite et immuable, parce que le consentement de la majorité (illusoire) est rassuré par "LES personnes de confiance "....moi, je préfère les chemins secondaires.....


Photo #AnnikaSchmidt

Quand on tombe dans l'ordinaire, les passages les plus odieux de Nietzsche, redeviennent d'actualité......


"Malgré toutes les concessions que je suis prêt à faire aux préjugés monogames, je n'admettrai jamais que l'on puisse parler chez l'homme et chez la femme de droits égaux en amour: ces droits n'existent pas. C'est que, par amour, l'homme et la femme entendent chacun quelque chose de différent. Et c'est une des conditions de l'amour chez les deux sexes que l'un ne suppose pas chez l'autre le même sentiment, la même notion de l'"amour". Ce que la femme entend par amour est assez clair: complet abandon de corps et d'âme (non seulement dévouement), sans égards ni restrictions. Elle songe, au contraire, avec honte et frayeur à un abandon où se mèleraient des clauses et des restrictions. Dans cette absence de conditions, son amour est une véritable foi, et la femme n'a point d'autre foi.

L'homme, lorsqu'il aime une femme, exige d'elle cet amour là. Il est donc, quant à lui même, tout ce qu'il y a de plus éloigné des hypothèses de l'amour féminin; mais en admettant qu'il y ait aussi des hommes auxquels le besoin d'un abandon complet ne serait pas étranger, eh bien ces hommes ne seraient pas des hommes.

Un homme qui aime comme une femme devient esclave. Une femme, au contraire, qui aime comme une femme devient une femme plus accomplie... La passion de la femme, dans l'absolu renoncement à ses droits propres, suppose précisément qu'il n'existe point, de l'autre côté, un sentiment semblable, un pareil besoin de renonciation: car, si tous deux renonçaient à eux même par amour, il en résulterait, -je ne sais quoi-, peut être un espace vide ?

La femme veut être prise, acceptée comme propriété, elle veut se fondre dans l'idée de "propriété", de "possession". Aussi désire t'elle quelqu'un qui prend, qui ne se donne et ne s'abandonne pas lui même, qui, au contraire, veut et doit enrichir son "moi" par une adjonction de force, de bonheur, de foi, par quoi la femme se donne elle-même. La femme se donne, l'homme prend et s'accroît

Je pense que l'on ne passera par-dessus ce contraste naturel ni par des contrats sociaux, ni même avec la meilleure volonté de justice: si désirable qu'il puisse être de ne pas toujours avoir devant les yeux ce qu'il y a de dur, de terrible, d'enigmatique et d'immoral dans cet antagonisme. Car l'amour, l'amour complet et grand, figuré dans toute sa plénitude, c'est de la nature et, en tant que nature, quelque chose "d'immoral" en toute éternité.

La fidélité est dès lors comprise dans l'amour de la femme, par définition, elle en est une conséquence. Chez l'homme, l'amour peut parfois entraîner la fidélité, soit sous forme de reconnaissance ou comme idiosyncrasie du goût, ce qu'on a appelé "affinité élective", mais elle ne fait pas partie de la nature de son amour, et cela, si peu que l'on parler d'une antinomie naturelle entre l'amour et la fidélité chez l'homme: lequel amour est un désir de possession et nullement un renoncement et un abandon. Or le désir de possession finit à chaque fois qu'il y a possession...

De fait, c'est le désir plus subtil et plus jaloux de posséder, chez l'homme, qui s'avoue rarement et de façon tardive, cette "possession" qui fait durer encore son amour; dans ce cas, il est même possible que l'amour grandisse après l'abandon de soi...l'homme se refuse à avouer qu'une femme n'a plus rien à lui "abandonner" "


F.NIetzsche, Le Gai Savoir
Animo, hermanos inconscientes. Tenéis el fusil en las manos; pero el fusil es instrumento de opresión en manos de un inconsciente, porque sirve para encumbrar tiranos. En manos de un consciente, es garantía de libertad y de bienestar. Las balas que disparáis bajo las banderas burguesas, os hieren de retache. Los gritos ¡Viva Villa! ¡Viva Carranza! ¡Viva Don Petate! Equivalen a este: ¡Vivan las cadenas! Gritad: ¡Viva Tierra y Libertad! y tomad posesión de la tierra, las industrias, los almacenes; tomadlo todo para que sea de todos. Obrando de ese modo, y solamente de ese modo, vendrá la paz por sí sola, porque entonces los pobres ya no tendrán por qué luchar, puesto que tendrán todo lo que necesitan para vivir, sin depender de nadie, y, también, ya no habrá ambiciosos que perturben el orden, porque al no querer más gobernantes, al abolir el principio de autoridad los proletariados rebelados, se habrá acabado esa manzana de la discordia que se llama silla presidencial. ¿Quién será entonces el loco que emprenda la tarea da levantar gente para derribar a un gobernante y poner otro en su lugar? Trabajadores inconscientes: volved vuestros fusiles sobre vuestros jefes y gritad con entusiasmo: ¡Viva Tierra y Libertad!

Bibliothèque libertaire: https://sites.google.com/site/bibliolibertaria/acervo

rÉvolution 2.0



Source : https://plus.google.com/u/0/103620912815501395863/posts/Snj4QPgqCm1


« La grande révolution dans l'histoire de l'homme, passée, présente et future, est la révolution de ceux qui sont résolus à être libres. »

John Fitzgerald Kennedy

J'habite ma propre demeure
Jamais je n'ai imité personne
et je me ris de tout maître
qui n'a su rire de lui-même....

....puis je m'en vais


Nietzsche, Le gai savoir   -  "Tout ce qu'on appelle amour. - 
Convoitise et amour : quelle différence dans ce que nous éprouvons en entendant chacun de ces deux mots ! - et cependant, il pourrait bien s'agir de la même pulsion, sous deux dénominations différentes, la première fois calomniée du point de vue de ceux qui possèdent déjà, chez qui la pulsion s'est quelque peu apaisée et qui craignent désormais pour leur « avoir » ;l'autre fois du point de vue de celui qui est insatisfait et assoiffé, et donc glorifiée sous la forme du « bien ». Notre amour du prochain - n'est-il pas une aspiration à une nouvelle possession? Et de même notre amour du savoir, de la vérité et de manière générale toute l'aspiration à des nouveautés? Nous nous lassons progressivement de l'ancien, de ce dont nous nous sommes déjà assuré la possession et recommençons à tendre les mains ; même le plus beau des paysages, une fois que l'on y a vécu trois mois, n'est plus certain de notre amour, et n'importe quelle côte lointaine excite notre convoitise : la possession rétrécit le plus souvent l'objet possédé. Le plaisir que nous prenons à nous-mêmes veut tellement se maintenir qu'il ne cesse de métamorphoser quelque chose de nouveau en nous-mêmes, - c'est cela même que l'on appelle posséder. Se lasser d'une chose que l'on possède, cela veut dire : se lasser de soi-même. (On peut également souffrir de la surabondance, - le désir de rejeter, de distribuer peut aussi s'attribuer la désignation honorifique d'« amour ».) Lorsque nous voyons quelqu'un souffrir, nous saisissons volontiers l'occasion qui s'offre alors de prendre possession de lui; c'est ce que fait par exemple le bienfaiteur compatissant, et lui aussi appelle « amour » le désir de possession nouvelle qui s'est éveillé en lui, et y prend plaisir comme à l'invitation à une conquête nouvelle. Mais c'est l'amour des sexes qui trahit le plus clairement sa nature d'aspiration à la possession : l'amoureux veut la possession exclusive et inconditionnée de la personne qu'il désire avec ardeur, il veut exercer un pouvoir inconditionné sur son âme comme sur son corps, il veut être l'unique objet de son amour et habiter et gouverner l'âme de l'autre comme ce qu'il y a de plus haut et de plus désirable. Si l'on prête attention au fait que cela ne veut rien dire d'autre que soustraire à tout le monde un bien, un bonheur et une jouissance de grande valeur : si l'on considère que l'amoureux vise à appauvrir et à spolier tous les autres concurrents et aimerait devenir le dragon de son propre trésor, le plus impitoyable et le plus égoïste de tous les « conquérants » et de tous les prédateurs : si l'on considère enfin que le reste du monde tout entier paraît à l'amoureux indifférent, pâle, dénué de valeur, et qu'il est prêt à faire tous les sacrifices, à renverser tout ordre, à faire passer tout intérêt au second plan : on ne manquera pas de s'étonner que cette convoitise et cette injustice sauvages de l'amour des sexes aient été glorifiées et divinisées comme elles l'ont été à toutes les époques, au point que l'on ait tiré de cet amour le concept d'amour entendu comme le contraire de l'égoïsme alors qu'il est peut-être justement l'expression la plus naïve de l'égoïsme. Ce sont manifestement les non-possédants assoiffés de désir qui ont ici fixé l'usage linguistique, - ils ont toujours été en trop grand nombre. Ceux à qui possession et satisfaction avaient été accordées en abondance en ce domaine ont bien laissé échapper de temps en temps un mot au sujet du « démon enragé », tel le plus aimable et le plus aimé de tous les Athéniens, Sophocle : mais Éros s'est toujours moqué de ces médisants, - ils furent toujours précisément les êtres qu'il chérit le plus. - Il y a bien çà et là sur terre une espèce de prolongement de l'amour dans lequel cette aspiration avide qu'éprouvent deux personnes l'une pour l'autre fait place à un désir et à une convoitise nouvelle, à une soif supérieure et commune d'idéal qui les dépasse : mais qui connaît cet amour? Qui l'a vécu? Son véritable nom est amitié" Gai savoir, § 14